UN
UNICO STATUTO GIURIDICO DELLA "PERSONA ELETTRONICA"
L’INTERVENTO DI STEFANO
RODOTA’ ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE DI PARIGI
Ecco
qui di seguito il testo del discorso tenuto da Stefano Rodotà, alla
sessione conclusiva della Conferenza Internazionale sulla protezione
dei dati, che ha avuto luogo a Parigi dal 24 al 26 settembre
2001.
La
sessione, presieduta da Rodotà, era dedicata al tema "Un Mondo,
Una Privacy".
"Ringrazio
(...). Vi sono, a mio giudizio, almeno quattro buone ragioni per tornare
sulla questione affrontata nella Conferenza
di Venezia sulla "tutela globale":
-
la
protezione dei dati personali, in quanto tale, è sempre più
diffusamente riconosciuta come un diritto fondamentale della
persona;
-
vi
è un bisogno di uniformità, dunque di certezza del diritto,
espresso sia dai singoli che dalle imprese;
-
l’identità
personale, diventando "elettronica", assume una dimensione
planetaria;
-
i
tragici fatti dell’11 settembre spingono verso regole comuni.
Sappiamo
che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha
riconosciuto la protezione dei dati personali come uno di questi diritti
(art. 8). Si mette così l’accento su una forma di tutela
caratterizzata dall’universalismo, in un quadro di globalizzazione che
vede le informazioni personali diffuse in tutto il pianeta,
costituendo la materia prima di attività le più diverse.
La
molteplicità delle regole entra sempre più in conflitto con la
dimensione globale. I cittadini manifestano chiaramente questa
preoccupazione, che si riflette nella proposta rivolta dal Transatlantic
Consumers Dialogue agli Stati Uniti e all’Europa per una conferenza su
una convenzione internazionale sulla privacy, da tenere nella primavera
prossima. Si tratta di una proposta nella linea della Dichiarazione
finale della Conferenza di Venezia, da prendere sul serio.
In
realtà qui non si riflettono soltanto le preoccupazioni dei cittadini
consumatori, ma anche gli interessi della parte più avanzata della business
community. Rendendo le proprie modalità d’azione uniformi sul
piano mondiale, le imprese non possono continuare ad incontrare una
molteplicità di regole, variabili da paese a paese, pena una perdita
d’efficienza e un aumento dei costi. Per la protezione dei dati è
venuto il momento di diventare un "diritto formale razionale"
su scala mondiale, quello che Max Weber considera un elemento essenziale
per il calcolo e la previsione economica.
Ma
non solo l’economia diventa globale. Trasferita nel ciberspazio,
frammentata in una molteplicità di banche dati dappertutto nel mondo,
l’identità personale divisa esplode nella rete. Ciascuno di noi è
"uno, nessuno, centomila". La personalità corrisponde alle
molteplici finestre aperte sullo schermo. E si è potuto dire che "queste
finestre sono divenute una potente metafora per pensare il sé come un
sistema, multiplo, distribuito".
La
possibilità per ciascuno di noi di ricostruire la propria identità, di
riconoscersi come unità, dipende sempre più chiaramente da regole di
base identiche dappertutto, dunque da uno statuto giuridico globale
della persona elettronica.
Infine,
gli ultimi tragici avvenimenti americani ci indicano una prospettiva che
mostra i limiti dell’autoregolamentazione e, di nuovo, l’esigenza di
regole comuni. Bisogna sottolineare che la discussione cominciata
proprio in questi giorni non porta necessariamente a concludere che
serve meno privacy per avere più sicurezza. Durante le nostre
discussioni, ad esempio, si è in messa in evidenza l’analogia tra i
paradisi fiscali, rivelatisi uno strumento utilizzato dai terroristi, e
i paradisi dei dati, che possono avere una funzione simile. E si può
dire lo stesso per le liste dei passeggeri dei voli, che devono essere
protette contro i rischi di accesso da parte di terroristi e criminali.
In
sintesi. In molti casi è proprio una protezione più rigorosa dei dati
che può garantire una maggiore sicurezza individuale e collettiva.
Bisogna,
comunque, ascoltare la voce americana del nostro amico Marc Rotenberg
che ci ricorda il nesso strettissimo tra libertà e democrazia, che sta
a fondamento della nostra missione di difensori di uno dei valori
fondamentali dei nostri sistemi democratici. Lo ha sottolineato
efficacemente il Presidente Chirac nel suo messaggio, dicendo che
"a nessun costo dobbiamo edificare un sistema repressivo
internazionale, che metterebbe in pericolo le libertà conquistate a
caro prezzo dai nostri concittadini".
E’
indispensabile, quindi, una evoluzione dei nostri sistemi - è sempre il
Presidente Chirac che parla - verso "un quadro giuridico universale,
efficace, evolutivo".
Viviamo
un paradosso. Importata dagli Stati Uniti, la privacy è oggi tutelata
meglio in Europa.
Se
gli americani hanno inventato il diritto alla vita privata, sono stati
gli europei ad inventare la protezione dei dati personali, come ha
ricordato il Presidente Gentot.
Esistono
differenze di culture e di sistemi giuridici, conflitti di interesse
anche profondi. Questo significa che il cammino verso un quadro di
principi giuridici comuni non sarà né breve, né facile.
Si
tratta, però, di un cammino obbligato, lungo il quale l’Europa ha già
fatto le sue prove, mostrando che si può attribuire una dimensione
sopranazionale alla protezione dei dati personali.
Proprio
per ciò l’Europa ha una grande responsabilità. Non si tratta di
cercare di imporre un modello, ma di sottolineare, partendo da una
esperienza concreta, che la strada verso principi e regole comuni
corrisponde ad esigenze sempre più radicate nella nostra società.
Principi
e regole comuni non vogliono dire chiudere i cittadini in un quadro
restrittivo della loro autonomia. Al contrario. Solo attribuendo a tutti
analoghi poteri si può permettere a ciascuno il pieno dominio del sé.
La
vita, dice Montaigne, "est un mouvement inégal irrégulier,
multiforme". Bisogna rispettare proprio la libertà di questo
movimento vivente".
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