Legge privacy 675 analisi dei rischi PUBBLICO E PRIVATO NELLA STORIA  

 

 

 

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"PUBBLICO" E "PRIVATO" NELLA STORIA  

(ripreso da The New York Times on the Web, 18 novembre 2000)

Le immagini della vita pubblica lasciateci dalle società che ci hanno preceduto sono in genere costituite da edifici imponenti, grandiose opere d’arte, iscrizioni idealizzate.

Invece, le immagini più suggestive della vita pubblica degli ultimi venti anni hanno un carattere più particolare: peli pubici su una lattina di Coca-Cola, il vestito di Monica, il Jerry Springer Show, il diario di un incesto, il programma televisivo del "Grande Fratello".

La vita pubblica contemporanea è fatta di frammenti di vita privata messa a nudo, e la vita privata contemporanea anela con tutti i mezzi a farsi pubblica.

In effetti, i concetti più recenti di pubblico e privato sono talmente particolari che proprio quando la dimensione del privato brama di perdersi in un’orgia di celebrità ed esibizionismo si diffonde anche il timore per la necessità di una tutela vigile della privacy. La minaccia di un attacco tecnologico ha fatto sorgere timori per la privacy online: i computer sono dotati di programmi detti "firewalls", recinzioni metaforiche che non permettono a nessun estraneo di curiosare in file privati.

E si tratta di preoccupazioni fondate. Un pirata informatico quattordicenne ha rubato centinaia di numeri di carte di credito MasterCard da una base di dati online; un’agenzia pubblicitaria su Internet tiene regolarmente traccia di tutti i siti visitati dal singolo consumatore; vi sono società che non esitano a licenziare dipendenti per avere inviato messaggi di posta elettronica che teoricamente dovrebbero essere privati. Ad una conferenza sulla privacy tenutasi il mese scorso presso la New School University era sufficiente scorrere i titoli delle sessioni per capire i termini della questione: "Ascesa e declino della privacy", "Invasioni della privacy" e "E’ possibile la privacy, oggi?". Come ha affermato di recente Scott McNealy, direttore responsabile della Sun Microsystems, "La vostra privacy è già pari a zero. Fateci l’abitudine."

Esiste dunque un miscuglio di atteggiamenti contraddittori rispetto alla privacy: da un lato si è pronti a calpestarla con zelo, dall’altro la si difende con impegno. Questi atteggiamenti contrastanti potrebbero essere considerati un segno di sensibilità politica — volendo essere magnanimi. Ad esempio, si potrebbe affermare che l’espansione della dimensione pubblica è dovuta alla nuova consapevolezza dell’importanza di eventi privati che in precedenza restavano occulti — come i casi di violenza sessuale da parte di conoscenti o amici. E si potrebbe sostenere che i timori legati alla tutela della privacy sono necessari e del tutto legittimi. Ma una volta che il tema della violenza sessuale da parte di conoscenti o amici è diventato oggetto di un’attenzione aggressiva, tutto il campo delle relazioni sessuali private diventa terreno di analisi giuridica, e ciò genera a sua volta altre situazioni conflittuali. Lo scrutinio pubblico del privato diventa la normalità.

Allo stesso modo, le preoccupazioni legate alla tecnologia possono essere spinte sino ad estremi quasi apocalittici (come si è verificato in taluni casi durante la conferenza alla New School University), senza riconoscere come le stesse tecnologie che rendono la privacy relativamente vulnerabile possano anche renderla relativamente invulnerabile.

In effetti, gli atteggiamenti dei contemporanei rispetto alla privacy sembrano avere ben poco a che fare con queste argomentazioni. Sembrano piuttosto intessuti dei fili della cultura contemporanea.

Edmund Burke lo aveva previsto, almeno in parte, affermando che le democrazie tendono all' "impudicizia" nella vita sociale — anche perché tutte le gerarchie e tutti gli obblighi rigidi vengono a cadere. Dinanzi a chi dovremmo avere pudore? E perché si dovrebbe avere cura di mantenere private certe cose?

Ci sono però anche altre forze all’opera. Le categorie di "pubblico" e "privato" sono relativamente nuove.

Durante la conferenza tenuta alla New School University, Joseph Rykwert, professore emerito di architettura all’Università di Pennsylvania, ricordava che nell’antichità classica le distinzioni erano molto diverse.

Rykwert ha citato Hannah Arendt a proposito dell’antica Roma: "Un uomo che viveva soltanto nella dimensione privata — che, come gli schiavi, non aveva la possibilità di entrare nella sfera pubblica — non era pienamente uomo".

La privacy costituiva letteralmente una privazione, la separazione dall’ambito più importante della vita umana: quello pubblico. Tuttavia, per scendere nell’arena pubblica occorreva anche essere proprietari di beni, e ciò rendeva possibile la vita privata.

Gli equilibri odierni sono diversi. Il cittadino che viva soltanto nella dimensione pubblica e non abbia una vita privata non appare come pienamente umano. Tuttavia, anche il cittadino la cui vita privata non sia pienamente pubblica ha di che lamentarsi. "Nel mondo moderno", scriveva Hannah Arendt nel testo "La condizione umana" (1958), "le due dimensioni di fatto finiscono continuamente per compenetrarsi". Ma come è potuto avvenire tutto ciò?

 Prendiamo ad esempio le teocrazie: società che si governano secondo ciò che ritengono essere la legge divina. Nelle teocrazie la privacy semplicemente non rappresenta una categoria importante. La distinzione fondamentale è quella fra sacro e profano, e non già quella fra privato e pubblico. Tuttavia, il sacro incorpora concetti che oggi associamo a quelli di pubblico e di privato. E’ simile al privato, perché deve rimanere inviolato, al riparo dalle incursioni del profano; ma è anche simile al pubblico, perché il sacro crea una comunità di fede.

Tutto ciò subisce un cambiamento nello Stato moderno. Il pubblico secolare non è costituito da un insieme di credenze: esiste un elenco di diritti e di doveri, e le leggi hanno una portata limitata. In una società di questo tipo, come fa il credente a dare a Cesare quel che è di Cesare? Con quale diritto Cesare invade la dimensione del sacro? In una società relativamente omogenea, il sacro costituisce parte integrante della vita pubblica in quanto religione di Stato. In caso contrario, il sacro viene a identificarsi in misura crescente con una dimensione al riparo da interferenze pubbliche — con il mondo del sé che dichiara "Non calpestatemi". Si tratta probabilmente di una delle fonti del concetto moderno di privacy: noi tendiamo a stabilire una connessione fra privato e sacro.

A partire dall’Illuminismo, questi rapporti sono divenuti sempre più conflittuali con la crescita del potere statale e la progressiva contrazione della dimensione religiosa.

Il Romanticismo associava molti aspetti della religione (l’attenzione alla vita interiore, l’idea di una vocazione spirituale superiore, il senso di una missione che comporta sacrifici) alla religione secolare dell’arte.

Alla fine del 18mo secolo, le riflessioni del genio individuale (vedi Blake o Wordsworth) - circondate da un’aura sacrale - potevano rivaleggiare con qualsiasi esigenza connessa alla dimensione pubblica. E’ da questa convinzione che nasce l’idea del privato come fonte di autenticità e integrità. Lo Stato finì quindi per apparire in misura crescente come un ostacolo al privato, mentre il privato iniziò ad essere visto come una minaccia per il pubblico.

Da questo conflitto trae origine e forma la cultura moderna. La cultura, nell’accezione più ampia del termine, funge da mediatrice fra pubblico e privato, portando all’attenzione del pubblico le esigenze del privato e traducendo le richieste del pubblico di ottenere comprensione a livello privato. Ad esempio, il romanzo moderno ha descritto le tensioni di questo incontro fra pubblico e privato, inscenandone lo scontro e, talora, negoziando tentativi di tregua. Romanzi quali "Anna Karenina" o "Il sindaco di Casterbridge" raccontano come il ruolo e la reputazione pubblica dei singoli personaggi siano progressivamente distrutti dalla rivelazione dei desideri privati e dei peccati tenuti nascosti. Nei romanzi distopici del 20mo secolo, come "Il mondo nuovo" e "1984", questo tipo di tragedia non è neppure più possibile: il pubblico totalitario ha sopraffatto totalmente il privato.

Questo timore del controllo pubblico di tipo totalitario continua ad essere diffuso. I mali del potere di matrice imprenditoriale e governativa sono uno dei motivi ossessivamente ricorrenti nella cultura di massa. Ma anche il bisogno di eliminare il privato trasformandolo in pubblico è probabilmente altrettanto diffuso: si arriva ad una sorta di putsch in cui i singoli bramano attenzione mentre mettono in mostra il proprio io ipoteticamente autentico. Queste anime rivoltate si affrontano facendo valere le proprie esigenze conflittuali, impegnandosi in schermaglie come gli ospiti del Jerry Springer Show.

Sono estremi che creano forme estreme di cultura.

Sul versante del privato, l’arte viene schiacciata dall’auto-confessione e dall’esibizionismo, mentre la politica si trasforma in pettegolezzo.

Sul versante del pubblico, l’arte tende all’esaltazione retorica sanzionata dall’autorità e la politica si trasforma in dogmatismo ideologico. E, come è ovvio, nella società contemporanea entrambi questi elementi sono rinvenibili in quantità.

La vita privata è politicizzata, mentre la vita pubblica brulica di passioni private. Così, invece di avere l’una e l’altra, non abbiamo nessuna delle due.

(Ndr: ripreso da The New York Times on the Web, 18 novembre 2000)