"PUBBLICO" E "PRIVATO" NELLA STORIA
(ripreso da The New York Times
on the Web, 18 novembre 2000)
Le immagini della
vita pubblica lasciateci dalle società che ci hanno preceduto
sono in genere costituite da edifici imponenti, grandiose opere
d’arte, iscrizioni idealizzate.
Invece, le
immagini più suggestive della vita pubblica degli ultimi venti
anni hanno un carattere più particolare: peli pubici su una
lattina di Coca-Cola, il vestito di Monica, il Jerry Springer
Show, il diario di un incesto, il programma televisivo del
"Grande Fratello".
La vita pubblica
contemporanea è fatta di frammenti di vita privata messa a nudo,
e la vita privata contemporanea anela con tutti i mezzi a farsi
pubblica.
In effetti, i
concetti più recenti di pubblico e privato sono talmente
particolari che proprio quando la dimensione del privato brama
di perdersi in un’orgia di celebrità ed esibizionismo si
diffonde anche il timore per la necessità di una tutela vigile
della privacy. La minaccia di un attacco tecnologico ha fatto
sorgere timori per la privacy online: i computer sono dotati di
programmi detti "firewalls", recinzioni metaforiche che non
permettono a nessun estraneo di curiosare in file privati.
E si tratta di
preoccupazioni fondate. Un pirata informatico quattordicenne ha
rubato centinaia di numeri di carte di credito MasterCard da una
base di dati online; un’agenzia pubblicitaria su Internet tiene
regolarmente traccia di tutti i siti visitati dal singolo
consumatore; vi sono società che non esitano a licenziare
dipendenti per avere inviato messaggi di posta elettronica che
teoricamente dovrebbero essere privati. Ad una conferenza sulla
privacy tenutasi il mese scorso presso la New School University
era sufficiente scorrere i titoli delle sessioni per capire i
termini della questione: "Ascesa e declino della privacy",
"Invasioni della privacy" e "E’ possibile la privacy, oggi?".
Come ha affermato di recente Scott McNealy, direttore
responsabile della Sun Microsystems, "La vostra privacy è già
pari a zero. Fateci l’abitudine."
Esiste dunque
un miscuglio di atteggiamenti contraddittori rispetto alla
privacy: da un lato si è pronti a calpestarla con zelo,
dall’altro la si difende con impegno. Questi atteggiamenti
contrastanti potrebbero essere considerati un segno di
sensibilità politica — volendo essere magnanimi. Ad esempio, si
potrebbe affermare che l’espansione della dimensione pubblica è
dovuta alla nuova consapevolezza dell’importanza di eventi
privati che in precedenza restavano occulti — come i casi di
violenza sessuale da parte di conoscenti o amici. E si potrebbe
sostenere che i timori legati alla tutela della privacy sono
necessari e del tutto legittimi. Ma una volta che il tema della
violenza sessuale da parte di conoscenti o amici è diventato
oggetto di un’attenzione aggressiva, tutto il campo delle
relazioni sessuali private diventa terreno di analisi giuridica,
e ciò genera a sua volta altre situazioni conflittuali. Lo
scrutinio pubblico del privato diventa la normalità.
Allo stesso modo,
le preoccupazioni legate alla tecnologia possono essere spinte
sino ad estremi quasi apocalittici (come si è verificato in
taluni casi durante la conferenza alla New School University),
senza riconoscere come le stesse tecnologie che rendono la
privacy relativamente vulnerabile possano anche renderla
relativamente invulnerabile.
In effetti, gli
atteggiamenti dei contemporanei rispetto alla privacy sembrano
avere ben poco a che fare con queste argomentazioni. Sembrano
piuttosto intessuti dei fili della cultura contemporanea.
Edmund Burke lo
aveva previsto, almeno in parte, affermando che le democrazie
tendono all' "impudicizia" nella vita sociale — anche perché
tutte le gerarchie e tutti gli obblighi rigidi vengono a cadere.
Dinanzi a chi dovremmo avere pudore? E perché si dovrebbe avere
cura di mantenere private certe cose?
Ci sono però anche
altre forze all’opera. Le categorie di "pubblico" e "privato"
sono relativamente nuove.
Durante la
conferenza tenuta alla New School University, Joseph Rykwert,
professore emerito di architettura all’Università di
Pennsylvania, ricordava che nell’antichità classica le
distinzioni erano molto diverse.
Rykwert ha citato
Hannah Arendt a proposito dell’antica Roma: "Un uomo che
viveva soltanto nella dimensione privata — che, come gli
schiavi, non aveva la possibilità di entrare nella sfera
pubblica — non era pienamente uomo".
La privacy
costituiva letteralmente una privazione, la separazione
dall’ambito più importante della vita umana: quello pubblico.
Tuttavia, per scendere nell’arena pubblica occorreva anche
essere proprietari di beni, e ciò rendeva possibile la vita
privata.
Gli equilibri
odierni sono diversi. Il cittadino che viva soltanto nella
dimensione pubblica e non abbia una vita privata non appare come
pienamente umano. Tuttavia, anche il cittadino la cui vita
privata non sia pienamente pubblica ha di che lamentarsi. "Nel
mondo moderno", scriveva Hannah Arendt nel testo "La condizione
umana" (1958), "le due dimensioni di fatto finiscono
continuamente per compenetrarsi". Ma come è potuto avvenire
tutto ciò?
Prendiamo ad
esempio le teocrazie: società che si governano secondo
ciò che ritengono essere la legge divina. Nelle teocrazie la
privacy semplicemente non rappresenta una categoria importante.
La distinzione fondamentale è quella fra sacro e profano, e non
già quella fra privato e pubblico. Tuttavia, il sacro incorpora
concetti che oggi associamo a quelli di pubblico e di privato.
E’ simile al privato, perché deve rimanere inviolato, al riparo
dalle incursioni del profano; ma è anche simile al pubblico,
perché il sacro crea una comunità di fede.
Tutto ciò subisce
un cambiamento nello Stato moderno. Il pubblico secolare
non è costituito da un insieme di credenze: esiste un elenco di
diritti e di doveri, e le leggi hanno una portata limitata. In
una società di questo tipo, come fa il credente a dare a Cesare
quel che è di Cesare? Con quale diritto Cesare invade la
dimensione del sacro? In una società relativamente omogenea, il
sacro costituisce parte integrante della vita pubblica in quanto
religione di Stato. In caso contrario, il sacro viene a
identificarsi in misura crescente con una dimensione al riparo
da interferenze pubbliche — con il mondo del sé che dichiara
"Non calpestatemi". Si tratta probabilmente di una delle fonti
del concetto moderno di privacy: noi tendiamo a stabilire una
connessione fra privato e sacro.
A partire dall’Illuminismo,
questi rapporti sono divenuti sempre più conflittuali con la
crescita del potere statale e la progressiva contrazione della
dimensione religiosa.
Il Romanticismo
associava molti aspetti della religione (l’attenzione alla vita
interiore, l’idea di una vocazione spirituale superiore, il
senso di una missione che comporta sacrifici) alla religione
secolare dell’arte.
Alla fine del
18mo secolo, le riflessioni del genio individuale (vedi
Blake o Wordsworth) - circondate da un’aura sacrale - potevano
rivaleggiare con qualsiasi esigenza connessa alla dimensione
pubblica. E’ da questa convinzione che nasce l’idea del privato
come fonte di autenticità e integrità. Lo Stato finì quindi
per apparire in misura crescente come un ostacolo al privato,
mentre il privato iniziò ad essere visto come una minaccia per
il pubblico.
Da questo
conflitto trae origine e forma la cultura moderna. La cultura,
nell’accezione più ampia del termine, funge da mediatrice fra
pubblico e privato, portando all’attenzione del pubblico le
esigenze del privato e traducendo le richieste del pubblico di
ottenere comprensione a livello privato. Ad esempio, il romanzo
moderno ha descritto le tensioni di questo incontro fra pubblico
e privato, inscenandone lo scontro e, talora, negoziando
tentativi di tregua. Romanzi quali "Anna Karenina" o "Il sindaco
di Casterbridge" raccontano come il ruolo e la reputazione
pubblica dei singoli personaggi siano progressivamente distrutti
dalla rivelazione dei desideri privati e dei peccati tenuti
nascosti. Nei romanzi distopici del 20mo secolo, come "Il mondo
nuovo" e "1984", questo tipo di tragedia non è neppure più
possibile: il pubblico totalitario ha sopraffatto totalmente il
privato.
Questo timore del
controllo pubblico di tipo totalitario continua ad essere
diffuso. I mali del potere di matrice imprenditoriale e
governativa sono uno dei motivi ossessivamente ricorrenti nella
cultura di massa. Ma anche il bisogno di eliminare il privato
trasformandolo in pubblico è probabilmente altrettanto diffuso:
si arriva ad una sorta di putsch in cui i singoli bramano
attenzione mentre mettono in mostra il proprio io ipoteticamente
autentico. Queste anime rivoltate si affrontano facendo valere
le proprie esigenze conflittuali, impegnandosi in schermaglie
come gli ospiti del Jerry Springer Show.
Sono estremi
che creano forme estreme di cultura.
Sul versante
del privato, l’arte viene schiacciata dall’auto-confessione
e dall’esibizionismo, mentre la politica si trasforma in
pettegolezzo.
Sul versante
del pubblico, l’arte tende all’esaltazione retorica
sanzionata dall’autorità e la politica si trasforma in
dogmatismo ideologico. E, come è ovvio, nella società
contemporanea entrambi questi elementi sono rinvenibili in
quantità.
La vita privata è politicizzata, mentre la vita pubblica
brulica di passioni private. Così, invece di avere l’una e
l’altra, non abbiamo nessuna delle due.
(Ndr: ripreso da The New York
Times on the Web, 18 novembre 2000) |