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Pubblico
e privato in conflitto?
(The
New York Times on the Web)
Le
immagini della vita pubblica lasciateci dalle società che ci hanno
preceduto sono in genere costituite da edifici imponenti, grandiose
opere d’arte, iscrizioni idealizzate. Invece, le immagini più
suggestive della vita pubblica degli ultimi venti anni hanno un
carattere più particolare: peli pubici su una lattina di Coca-Cola, il
vestito di Monica, il Jerry Springer Show, il diario di un incesto, il
programma televisivo del "Grande Fratello". La vita pubblica
contemporanea è fatta di frammenti di vita privata messa a nudo, e la
vita privata contemporanea anela con tutti i mezzi a farsi pubblica.
In
effetti, i concetti più recenti di pubblico e privato sono talmente
particolari che proprio quando la dimensione del privato brama di
perdersi in un’orgia di celebrità ed esibizionismo si diffonde anche
il timore per la necessità di una tutela vigile della privacy. La
minaccia di un attacco tecnologico ha fatto sorgere timori per la
privacy online: i computer sono dotati di programmi detti
"firewalls", recinzioni metaforiche che non permettono a
nessun estraneo di curiosare in file privati. Alcuni siti web (in
particolare www.grc.com)
arrivano a consentire una valutazione delle capacità del proprio
computer di tutelare la privacy.
E
si tratta di preoccupazioni fondate. Un pirata informatico
quattordicenne ha rubato centinaia di numeri di carte di credito
MasterCard da una base di dati online; un’agenzia pubblicitaria su
Internet tiene regolarmente traccia di tutti i siti visitati dal singolo
consumatore; vi sono società che non esitano a licenziare dipendenti
per avere inviato messaggi di posta elettronica che teoricamente
dovrebbero essere privati. Ad una conferenza sulla privacy tenutasi il
mese scorso presso la New School University era sufficiente scorrere i
titoli delle sessioni per capire i termini della questione: "Ascesa
e declino della privacy", "Invasioni della privacy" e
"E’ possibile la privacy, oggi?". Come ha affermato di
recente Scott McNealy, direttore responsabile della Sun Microsystems,
"La
vostra privacy è già pari a zero. Fateci l’abitudine."
Esiste
dunque un miscuglio di atteggiamenti contraddittori rispetto alla
privacy: da un lato si è pronti a calpestarla con zelo, dall’altro la
si difende con impegno. Questi atteggiamenti contrastanti potrebbero
essere considerati un segno di sensibilità politica — volendo essere
magnanimi. Ad esempio, si potrebbe affermare che l’espansione della
dimensione pubblica è dovuta alla nuova consapevolezza
dell’importanza di eventi privati che in precedenza restavano occulti
— come i casi di violenza sessuale da parte di conoscenti o amici. E
si potrebbe sostenere che i timori legati alla tutela della privacy sono
necessari e del tutto legittimi. Ma una volta che il tema della violenza
sessuale da parte di conoscenti o amici è diventato oggetto di
un’attenzione aggressiva, tutto il campo delle relazioni sessuali
private diventa terreno di analisi giuridica, e ciò genera a sua volta
altre situazioni conflittuali. Lo scrutinio pubblico del privato diventa
la normalità. Allo stesso modo, le preoccupazioni legate alla
tecnologia possono essere spinte sino ad estremi quasi apocalittici
(come si è verificato in taluni casi durante la conferenza alla New
School University), senza riconoscere come le stesse tecnologie che
rendono la privacy relativamente vulnerabile possano anche renderla
relativamente invulnerabile.
In
effetti, gli atteggiamenti dei contemporanei rispetto alla privacy
sembrano avere ben poco a che fare con queste argomentazioni. Sembrano
piuttosto intessuti dei fili della cultura contemporanea. Edmund Burke
lo aveva previsto, almeno in parte, affermando che le democrazie tendono
all' "impudicizia" nella vita sociale — anche perché tutte
le gerarchie e tutti gli obblighi rigidi vengono a cadere. Dinanzi a chi
dovremmo avere pudore? E perché si dovrebbe avere cura di mantenere
private certe cose?
Ci
sono però anche altre forze all’opera. Le categorie di "pubblico"
e "privato" sono relativamente nuove. Durante la conferenza
tenuta alla New School University, Joseph Rykwert, professore emerito di
architettura all’Università di Pennsylvania, ricordava che
nell’antichità classica le distinzioni erano molto diverse. Rykwert
ha citato Hannah Arendt a proposito dell’antica Roma: "Un uomo
che viveva soltanto nella dimensione privata — che, come gli schiavi,
non aveva la possibilità di entrare nella sfera pubblica — non era
pienamente uomo". La privacy costituiva letteralmente una
privazione, la separazione dall’ambito più importante della vita
umana: quello pubblico. Tuttavia, per scendere nell’arena pubblica
occorreva anche essere proprietari di beni, e ciò rendeva possibile la
vita privata.
Gli
equilibri odierni sono diversi. Il cittadino che viva soltanto nella
dimensione pubblica e non abbia una vita privata non appare come
pienamente umano. Tuttavia, anche il cittadino la cui vita privata non
sia pienamente pubblica ha di che lamentarsi. "Nel mondo moderno",
scriveva Hannah Arendt nel testo "La condizione umana" (1958),
"le due dimensioni di fatto finiscono continuamente per
compenetrarsi". Ma come è potuto avvenire tutto ciò?
Prendiamo ad esempio le teocrazie: società che si governano secondo ciò
che ritengono essere la legge divina. Nelle teocrazie la privacy
semplicemente non rappresenta una categoria importante. La distinzione
fondamentale è quella fra sacro e profano, e non già quella fra
privato e pubblico. Tuttavia, il sacro incorpora concetti che oggi
associamo a quelli di pubblico e di privato. E’ simile al privato,
perché deve rimanere inviolato, al riparo dalle incursioni del profano;
ma è anche simile al pubblico, perché il sacro crea una comunità di
fede.
Tutto
ciò subisce un cambiamento nello Stato moderno. Il pubblico secolare
non è costituito da un insieme di credenze: esiste un elenco di diritti
e di doveri, e le leggi hanno una portata limitata. In una società di
questo tipo, come fa il credente a dare a Cesare quel che è di Cesare?
Con quale diritto Cesare invade la dimensione del sacro? In una società
relativamente omogenea, il sacro costituisce parte integrante della vita
pubblica in quanto religione di Stato. In caso contrario, il sacro viene
a identificarsi in misura crescente con una dimensione al riparo da
interferenze pubbliche — con il mondo del sé che dichiara "Non
calpestatemi". Si tratta probabilmente di una delle fonti del
concetto moderno di privacy: noi tendiamo a stabilire una connessione
fra privato e sacro.
A
partire dall’Illuminismo, questi rapporti sono divenuti sempre più
conflittuali con la crescita del potere statale e la progressiva
contrazione della dimensione religiosa. Il Romanticismo associava molti
aspetti della religione (l’attenzione alla vita interiore, l’idea di
una vocazione spirituale superiore, il senso di una missione che
comporta sacrifici) alla religione secolare dell’arte. Alla fine del
18mo secolo, le riflessioni del genio individuale (vedi Blake o
Wordsworth) - circondate da un’aura sacrale - potevano rivaleggiare
con qualsiasi esigenza connessa alla dimensione pubblica. E’ da questa
convinzione che nasce l’idea del privato come fonte di autenticità e
integrità. Lo Stato finì quindi per apparire in misura crescente come
un ostacolo al privato, mentre il privato iniziò ad essere visto come
una minaccia per il pubblico.
Da
questo conflitto trae origine e forma la cultura moderna. La cultura,
nell’accezione più ampia del termine, funge da mediatrice fra
pubblico e privato, portando all’attenzione del pubblico le esigenze
del privato e traducendo le richieste del pubblico di ottenere
comprensione a livello privato. Ad esempio, il romanzo moderno ha
descritto le tensioni di questo incontro fra pubblico e privato,
inscenandone lo scontro e, talora, negoziando tentativi di tregua.
Romanzi quali "Anna Karenina" o "Il sindaco di
Casterbridge" raccontano come il ruolo e la reputazione pubblica
dei singoli personaggi siano progressivamente distrutti dalla
rivelazione dei desideri privati e dei peccati tenuti nascosti. Nei
romanzi distopici del 20mo secolo, come "Il mondo nuovo" e
"1984", questo tipo di tragedia non è neppure più possibile:
il pubblico totalitario ha sopraffatto totalmente il privato.
Questo
timore del controllo pubblico di tipo totalitario continua ad essere
diffuso. I mali del potere di matrice imprenditoriale e governativa sono
uno dei motivi ossessivamente ricorrenti nella cultura di massa. Ma
anche il bisogno di eliminare il privato trasformandolo in pubblico è
probabilmente altrettanto diffuso: si arriva ad una sorta di putsch in
cui i singoli bramano attenzione mentre mettono in mostra il proprio io
ipoteticamente autentico. Queste anime rivoltate si affrontano facendo
valere le proprie esigenze conflittuali, impegnandosi in schermaglie
come gli ospiti del Jerry Springer Show.
Sono
estremi che creano forme estreme di cultura. Sul versante del privato,
l’arte viene schiacciata dall’auto-confessione e
dall’esibizionismo, mentre la politica si trasforma in pettegolezzo.
Sul versante del pubblico, l’arte tende all’esaltazione retorica
sanzionata dall’autorità e la politica si trasforma in dogmatismo
ideologico. E, come è ovvio, nella società contemporanea entrambi
questi elementi sono rinvenibili in quantità. La vita privata è
politicizzata, mentre la vita pubblica brulica di passioni private. Così,
invece di avere l’una e l’altra, non abbiamo nessuna delle due.
(Ndr:
ripreso da The New York Times on the Web, 16 novembre 2000)
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