CARTELLA
CLINICA E PRIVACY: SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Con
la sentenza n.3050
del 2 settembre 2002, la Cassazione ha affermato che la cartella clinica rientra tra gli
atti riservati e non più tra quelli coperti da segreto
d’ufficio.
La
conseguenza è immediata: la tutela non è più quella del codice penale
(art. 326) prevista per la violazione del segreto d'ufficio ma quella
accordata dalla legge n. 675/96, meglio conosciuta come legge sulla
privacy.
I
fatti
Un
impiegato di una direzione sanitaria rilascia copia di una cartella
clinica al marito di una donna, senza il consenso dell’interessata.
L’uomo utilizza la cartella nella causa di separazione e l’impiegato
viene accusato
di violazione di segreto d’ufficio.
La
decisione
La
Corte di Cassazione processa ed assolve l’impiegato, affermando che la
cartella clinica contiene sì dati riservati, ma non coperti da segreto
d’ufficio.
Le
conseguenze
Fino
ad ora la riservatezza della cartella clinica rientrava nel segreto
d'ufficio e dunque la violazione veniva regolata dall'art. 326 del codice
penale, che prevede fino a tre
anni di reclusione.
Adesso
la tutela è quella della legge sulla privacy
(L. n. 675/96), ed applicando l'art.
23 si deduce che:
-
la cartella può essere rilasciata a terzi solo col
consenso dell’interessato;
-
solo se il consenso manca ed il rilascio avviene
per danneggiare l'ammalato o per ingiusto profitto del
richiedente, è prevista la responsabilità penale, punita con
reclusione da 3 mesi a due anni.
Difficilmente
la violazione della riservatezza dei dati della cartella clinica potrà essere perseguita dalla legge sulla privacy.
Difatti non è facile che accada, o che si riesca a provare, che il rilascio del cartella
sia avvenuto per danneggiare il malato o per ingiusto profitto del
richiedente.
RITORNA
ALLA SEZIONE
DIFESA DELLA PRIVACY PERSONALE